Daniele Passarella
È un venerdì di dicembre inoltrato. I torinesi si muovono frenetici per le strade rischiarate dalle luminarie natalizie. Bisogna fare gli ultimi acquisti. Comprare il trenino di legno per il nipote, le pantofole per il marito, l’arrosto per la cena.
Il freddo è pungente. Una bimba stende il palmo della mano verso il cielo. Nevica!
Un furgone blu borbotta, sussulta mentre si ferma al semaforo. È ammaccato, proprio davanti. È il furgone delle Fonderie.
Riavvolgiamo il nastro.
È mattina presto, prestissimo e bisogna preparare il catering per la Ferrero. Lunch e coffee break. Il bancone in acciaio è ricoperto di paninetti semi dolci, pronti per essere farciti.
Daniele affetta il prosciutto mentre Davide controlla il materiale da caricare, già consapevole che dimenticherà qualcosa perché nei catering succede così. Dimentichi il latte di soia? Ecco che fa il suo ingresso un cliente inglese intollerante a tutti i tipi di latte eccetto quello di soia. Convincetelo voi a non prendere il cappuccino.
Daniele riempie la saccapoche di maionese e la mette su ogni paninetto mentre Davide dietro di lui posiziona gli affettati, richiude e inserisce lo stuzzicadenti, in una perfetta catena di montaggio culinaria.
Una volta preparato tutto, chiedono a Loris indicazioni su come arrivare sul posto. È molto semplice, dice. Quasi banale. Prendete l’autostrada ed uscite ad Alba da lì in poi ci sono le indicazioni. Okay, useranno il navigatore.
Caricano e partono. Il viaggio si rivela tranquillo nonostante dal finestrino destro provenga un rumore costante molto forte causato dal suo malfunzionamento e per la mancanza dell’autoradio.
Scaricano, preparano la sala con la solita frenesia pre catering e in un attimo inizia il pranzo. Da una parte della lunga tavolata Davide serve il primo caldo, una stupenda lasagna vegetariana mentre dall’altra Daniele distribuisce le bevande. Ecco che le belle configurazioni spariscono, consumate dalla fame e dalla convivialità in un complimento perfetto per chi ha preparato.
Una volta finito il servizio riassettano la stanza, cambiano le tovaglie e aspettano. Tre ore.
All’inizio ridono, scherzano in piedi, giocano con una pallina di carta ma con l’avanzare del tempo la postura cambia, si fa pesante, curva. Daniele si sta per addormentare quando Davide esclama!
Nevica! Forte. Fortissimo.
Contro ogni aspettativa e previsione meteo sul Piemonte si stava abbattendo una tempesta di neve.
I due ragazzi osservano inermi quanto affascinati i centimetri accumularsi uno sull’altro. Guardano il furgone e deglutiscono. Iniziano a pregare. Sanno che ha una volontà propria. È capace di tutto. Imprese titaniche e debacle clamorose.
Finalmente arrivano i clienti. Mangiano e chiacchierano, hanno tutti delle buste in mano ricolme di merendine ma fortunatamente preferiscono mangiare la nostra pasticceria secca. Si preparano a tornare a casa per festeggiare. Fatti i caffè e ricevuti i complimenti per il catering è ora di sbaraccare e partire.
Bisogna fare in fretta perché non c’è tempo, corrono da una parte all’altra della stanza. Le ore di attesa gli hanno intorpiditi. Svuotano i bicchieri, tolgono le tovaglie, chiudono i tavoli e caricano tutto.
Bene. Ci siamo. Tu la strada la sai? No. Metto il navigatore, dice Daniele. Davide accende il furgone e si immette nella strada. I fiocchi si appiccicano al vetro. Offuscano la visuale fino a quando i grossi tergicristalli li portano via. Dove devo andare? A destra. Sicuro? Così dice il navigatore. Un cartello verde con scritto Torino scorre sulla loro sinistra. Un dubbio li assale, percorre tutta la schiena, fino alla bocca ed esplode in una domanda. Ma non dovevamo prendere l’autostrada? Ce la farà prendere più avanti.
La radio è rotta. Dal finestrino del passeggero entra l’aria.
La strada è completamente ricoperta da neve. Ampie curve, paesini e campagna a non finire. Ai lati della carreggiata due grossi solchi e miriadi di rotonde da affrontare. Iniziano a sudare. I dubbi sono divenuti certezze. Stanno facendo la statale.
Rallenta! Dani sto andando a venti all’ora se rallento ancora si spegne. Il buio è sceso. Inquietante, spaventoso. Guarda, all’incrocio c’è qualcuno, possiamo chiedere informazioni. Grazie al cielo.
È un camion ribaltato. Nessuno nei dintorni. Panico.
Davi dove vai? Dove vai? Devi andare dritto. Ci sto provando. Il furgone scivola sulla destra lento, inesorabile.
La consapevolezza dell’impatto.
Sono contro il muro di quella che sembra essere una fabbrica. Scendono e controllano, c’è un’ammaccatura proprio sul davanti. Dobbiamo fermarci! Non possiamo, rischiamo di rimanere bloccati, fa un freddo cane. Abbiamo il cibo avanzato, possiamo sopravvivere per qualche giorno. Un sorriso teso. Poi di nuovo serio. Davi di sto passo moriamo. Dobbiamo provare. Okay. Salgono nuovamente e partono.
Ad ogni rotonda è una preghiera. Lasciano l’acceleratore metri e metri prima e sperano che questo svolti. Il furgone si mette di traverso, poi rientra in carreggiata con le unghie e con i denti.
Prova a guardare come prendere sta cavolo di autostrada. Ci sto provando. Sono nativi digitali, non sanno leggere una mappa. Tra dieci minuti dovremmo imboccarla. Ah, bene. Quanti ne mancano all’arrivo? Trenta.
Ecco che il furgone fa il suo ingresso in città. Illuminato di giallo, blu e bianco. I passeggeri visibilmente stravolti.
Dieci ore di lavoro per il catering. Quattro di viaggio. In quel lasso di tempo sarebbero potuti arrivare in Puglia e avrebbero avuto il tempo di tuffarsi, certo ma non avrebbero però avuto una storia da raccontare.